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Plinio il Vecchio che nella sua Naturalis Historia ha tramandato preziose notizie di opere che lui ha effettivamente visto o di cui ha sentito parlare, cita in un passo il gruppo allora posto nel Palazzo di Tito e subito identificato come quello che fu descritto. da Plinio, secondo il quale il gruppo marmoreo è opera di Hagesandros e dei suoi figli Athanodoros e Polydoros, scultori di Rodi, della metà circa del I sec. a. C. Il gruppo marmoreo venne ritrovato nel 1506 in una vigna sull'Esquilino, nell'area del Colle Oppio anticamente occupata prima dalla Domus Aurea dell'imperatore Nerone e poi dalle Terme di Traiano. Il ritrovamento di grandi gruppi scultorei degli stessi autori citati da Plinio in una grotta ninfeo presso Sperlonga, parte di un complesso dell'imperatore Tiberio, ha fatto ritenere l'opera una copia romana della prima età imperiale voluta dalla corte di Tiberio (14-37 d.C.). Laocoonte, sacerdote d'Apollo, mise in guardia i Troiani suoi compatrioti dal pericolo che vi era a introdurre in città il famoso cavallo di legno costruito e donato dai Greci (e che nascondeva degli armati nel ventre). Atena e Poseidone, favorevoli ai Greci, inviarono dal mare due mostruosi serpenti che avvolsero con le loro spire Laocoonte e i suoi due figli. In una prospettiva romana della vicenda la morte di questi innocenti è funzionale alla fuga di Enea e dunque alla fondazione di Roma. Una scultura di tale importanza non poteva sfuggire a papa Giulio II (1503-1513) che subito la acquistò per il Cortile delle Statue, facendone il fulcro ideologico del programma decorativo. Molto dibattuta è la cronologia del capolavoro marmoreo per il quale sembra ora prevalere una datazione intorno al 40-30 a.C.

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